CEDI: il built-in costruito passo dopo passo
“L’azienda napoletana guidata dai fratelli Bertamino è il maggior operatore nella distribuzione di elettrodomestici da incasso del Centro-Sud.
Fonte: biancoebruno.it
Ha sviluppato un business “di vicinato” in versione 4.0, e ha una interessante opinione sulle attività promo del settore. I fratelli Bertamino. Da sinistra: Massimo, Luca, Sergio e Giuseppe “Sono quasi quarant’anni che sono in società con i miei fratelli”: esordisce così Massimo Bertamino, direttore commerciale e protagonista con Giuseppe (gestione finanziaria), Sergio (credito) Luca (direzione vendite) di questa storia d’impresa e di famiglia. CEDI – Compagnia Elettrodomestici Distribuzione Italia – è l’azienda che domina la distribuzione di elettrodomestici da incasso, e non solo, del Centro-Sud. Massimo Bertamino (nella foto sotto), che quando parla dei suoi agenti di vendita li chiama “i miei uomini”, ci racconta questa parte di mercato e il business che qui si sviluppa. Consiglio: leggete bene le sue considerazioni sugli effetti della promozionalità.
Bertamino, viviamo in un momento di trasformazioni profonde. Come affrontarle?
“Bisogna saper cogliere gli aspetti positivi di questi momenti. Non è facile, anche perchè l’essere umano è resistente al cambiamento, specie nel mondo del lavoro. Ma sono situazioni che ci ‘spingono’, in un certo senso, ad accettare la trasformazione, con la grande motivazione di voler andare avanti”.
Come ha impattato il cambiamento sulla sua azienda?
“Avevamo già avviato un processo di digitalizzazione, il Covid ha accelerato certi processi. Ad esempio la comunicazione digitale (e il mondo dei social) veniva gestita anche prima, ma a margine della nostra attività. Durante il lockdown ci siamo resi conto che l’unico modo per rimanere in contatto con la nostra clientela, i partner e i collaboratori, era sfruttare questa tecnologia, insieme all’attitudine a comunicare già presente nel nostro DNA. Ora ci stiamo interrogando su come utilizzare lo smart working grazie al quale quest’anno anche in agosto siamo rimasti virtualmente sempre aperti, con nostri collaboratori che da remoto hanno continuato ad assistere la clientela; prima non ci avevamo mai pensato. Così un mese che per noi ha sempre significato zero, quest’anno peserà circa l’8% del fatturato”.
Insomma, non avete fatto ferie.
“Il nostro settore sta cercando di recuperare quanto perduto. Il mobile, parliamoci chiaro, è un acquisto ragionato, non d’impulso, gli ordini programmati o in consegna al momento del lockdown sono stati spostati in avanti, dunque non aveva senso chiudere. Ed è un primo dato. Il secondo, importantissimo secondo me, è che l’italiano si è reso conto che la casa è il centro del suo universo. Come dimostra il forte incremento di vendita di congelatori, forni a microonde, kitchen machine”.
Vendete anche freestanding?
“Abbiamo una divisione che si occupa di libera installazione (vale il 30% del nostro fatturato), serve circa 500 punti vendita, molti di piccole dimensioni. Nella nostre regioni è ancora frequente che il negozio del mobiliere sia di riferimento anche per gli elettrodomestici. Built-in e libera installazione sono due anime della nostra azienda, divisioni separate e con dinamiche diverse, che però dialogano. Agli operatori built-in vendiamo freestanding, pensiamo ai frigoriferi ma anche al nuovo fenomeno delle colonne bucato. Oggi la lavatrice non viene più collocata dove capita, ma si tende a organizzare una zona lavanderia. Ciò si riflette sul mondo dell’arredamento, e di conseguenza su di noi, che siamo pronti per questa nuova esigenza. Anzi le colonne bucato iniziano a rappresentare una fetta importante del nostro fatturato”.
Nel kitchen retail sta entrando l’arredo bagno. E’ così?
“Vero. È proprio un nuovo modo di concepire il progetto arredo. Oggi da noi, ma penso in tutta italia, non è pensabile avere i panni stesi in casa o sui balconi, come facevano le nostre mamme e nonne, per questioni di estetica ma anche di igiene, e di comodità. Il mercato dell’asciugatrice è in gran fermento, è un altro elettrodomestico che ha bisogno di essere collocato. Quindi nei loro progetti, le coppie moderne prevedono già per questi elettrodomestici uno spazio. Difatti c’è stato un crollo delle lavatrici strette a favore delle macchine per maxi lavaggi”.
Vendete anche al consumatore finale? “No, guardi, siamo specializzati nel b2b. Noi siamo distributori, abbiamo cercato di prendere alcune logiche del freestanding e portarle nel built-in e viceversa”. In che senso? “Pensiamo che oggi nel nostro settore bisogna avere un’offerta piramidale. Dunque abbiamo sviluppato rapporti di forte partnership con i nostri fornitori, in relazione alla capacità della marca di collocarsi in un determinato segmento di mercato. Trattiamo i brand del Gruppo Whirlpool visto che coprono tutte le fasce di posizionamento. Siamo da sempre partner di Miele che ha gamme di altissimo livello e ciò ci conferisce una grande specializzazione. E da tre anni collaboriamo con Franke, una ciliegina sulla torta, con un catalogo vastissimo che amplifica la vocazione di distributori built-in. Con Samsung siamo stati pionieri, i primi ad aderire al loro progetto incasso quindici anni fa. Oggi nell’era digitale Samsung sta diventando un player importante, perché è possessore della tecnologia di connettività per elettrodomestici. La nostra strategia commerciale nasce nel built-in e si ripete nel freestanding, con gli stessi partner fornitori”.
Questo vi mette al riparo da dinamiche di competitività estrema?
“Copriamo un ampio territorio, 19 province. Sei anni fa abbiamo avviato un progetto di espansione territoriale in Abruzzo, acquisendo strutture di un’altra realtà. Pensiamo che un distributore sia tale in quanto possessore di un magazzino, e non per mera intermediazione logistica. Dobbiamo essere sul territorio e la nostra forza è avere capillarità territoriale. In Abruzzo, per darle un’idea del lavoro fatto, con la ristrutturazione di magazzino e l’organizzazione commerciale, in cinque anni siamo passati da 950 mila euro a quasi 4 milioni di fatturato annuo. Dall’Abruzzo nessuno si aspettava questi numeri. In realtà è il classico esempio di regione in cui in ogni piccolo paese c’è un rivenditore di mobili ed elettrodomestici. Dopo l’Abruzzo abbiamo avuto l’opportunità di fare la stessa operazione nelle Marche, a Pesaro. Ora abbiamo un magazzino presso la sede storica di Casoria (Na), un polo logistico a Caserta di circa 4000 metri, una sede a Pescara, e poi a Pesaro. Nella massima estensione territoriale che serviamo, da Potenza a Ravenna, in circa 700 km abbiamo tre magazzini e una logistica”.
Sta dicendo che il vostro vantaggio competitivo è essere pronti a fornire quel che serve?
“Se vuoi essere un riferimento per il settore, il livello di prestazione deve essere alto. E bisogna garantire continuità di servizio: dobbiamo essere in grado di consegnare anche un miscelatore al cliente più lontano. Per fare questo ci vuole una rete logistica adeguata, informatizzata. Gestiamo 8000 codici, un valore di magazzino a bilancio intorno ai 7 milioni di euro. E le dico la verità, ci chiamano anche da altre regioni, perché ormai ci conoscono per essere fra i distributori più assortiti del nostro settore. Pensi che il solo catalogo Franke vanta 2000 codici, noi ne abbiamo a magazzino 1800. Ogni articolo richiede la lavorazione di una quantità di dati, dal barcode all’immagine, alle misure, al peso. Perciò anche decidere di trattare un miscelatore in otto colori è una piccola impresa”.
Immagino che usiate un programma di gestione integrata.
“Stiamo investendo molto, sia sulle persone sia sui gestionali. Il che libera risorse e ci costringe in un certo senso a rimanere continuamente aggiornati. E con le Marche siamo entrati in uno dei distretti di produzione di cucine. Qui una realtà come la nostra costituisce un grande supporto diretto anche all’Industria. Ci capita spesso, infatti, di servire Scavolini, Febal, Lube e altri, per fornire miscelatori, piani, lavelli e quant’altro. Siamo un polmone di supporto per queste realtà produttive”.
Quanti punti vendita servite?
“Sono circa tremila: 2400 nel settore del mobile su 19 province, come detto. Spaziamo dalla Basilicata alla Romagna. Nel freestanding operiamo un po’ in tutto il Centro-Sud con 500 clienti. Per la divisione built-in abbiamo 19 uomini monomandatari sul territorio che lavorano per raggiungere la clientela. Il freestanding viene gestito da un sales manager e cinque collaboratori”.
Cosa fate per i vostri agenti? “Il loro lavoro sta cambiando, anche a causa del lockdown e non senza una certa fatica. Come sa, il cambiamento è turbamento. Sono anni che noi investiamo risorse per la formazione degli agenti, ed è un vero lavoro. Un agente te lo devi crescere, deve avere competenza sia di elettrodomestici sia di mobili. E ci vuole tempo. A Napoli spesso abbiamo formato ragazzi venuti da settori diversi. Negli anni hanno fatto un percorso e oggi sono veri esperti”.
Da come ne parla più che agenti sembrano consulenti.
“Esatto. Oggi è quello che un distributore deve fare: avere una rete vendita di supporto al rivenditore di mobili. Il nostro cliente ha grandi competenze sul mobile, ma ha bisogno di essere assistito sulla parte tecnica dell’elettrodomestico da incasso. A differenza di un tempo, l’offerta built-in è più complessa e articolata, e anche grazie a Internet il cliente finale è informato e sa di determinate prestazioni. L’industria dell’elettrodomestico spende soldi per trasmettere a terzi quello che fa, non possiamo banalizzare…”.
Cosa intende per ‘banalizzare’?
“Il mondo del mobile ha banalizzato la lavastoviglie. Per vent’anni sono state regalate, creando migliaia di consumatori insoddisfatti perché hanno usato una macchina basica. C’è differenza fra prodotti di prezzi diversi in termini di programmi, di trattamenti specifici e di altre tecnologie. L’industria usa la lavastoviglie per attività promozionali, ma il mondo della lavastoviglie è cosa completamente diversa, assai più performante. E chiaramente ci vuole un esperto che ti faccia capire le differenze, in relazione al prezzo”.
Sta dicendo che la diffusione delle lavastoviglie è stata condizionata da questi meccanismi promozionali?
“Assolutamente sì. Tenga presente che stiamo assistendo, nel post-lockdown, a un innalzamento del prezzo medio dei forni perché la gente si è resa conto, stando in casa a cucinare, di avere apparecchi che non soddisfano. Nella migliore delle ipotesi molti hanno forni statici, o forse ventilati, a cinque funzioni, con i quali la pizza non viene bene, il pane non cresce, le verdure al vapore non si possono fare. A un certo punto si sono resi conto che, con una cifra abbordabile, potevano avere un forno con una serie di vantaggi che avrebbero reso la loro vita più comoda. Il problema di questo settore è la comunicazione, ci sono troppi intermediari”.
Vale a dire?
“L’industria di elettrodomestici ha il doppio canale distributivo: il costruttore di cucine e il distributore. Se la filiera non è ben ‘ossigenata’ (di informazioni, ndr), e l’unica che può esserlo è quella del distributore, il produttore potrà fare tutte le migliorie del mondo, ma difficilmente riuscirà a farle arrivare al mercato. Oggi c’è il vantaggio che i moderni strumenti di comunicazione sono in grado di raggiungere direttamente il consumatore. Ma lo stesso consumatore, anche bene informato, di fronte all’arredatore o al mobiliere vuole essere comunque confortato e indirizzato. Questo lockdown ha fatto emergere una deficienza di informazione che esiste su molte apparecchiature in utenza nel built-in. Oggi il cliente, per una nuova casa o per una sostituzione, vuole degli elettrodomestici con caratteristiche ben individuate”.
E voi come vi organizzate per diffondere queste informazioni?
“Tenga presente che sia su Pesaro che su Casoria – a Pescara stiamo rinnovando – abbiamo showroom con centinaia di pezzi in esposizione, molti dei quali funzionanti. E attraverso piccoli eventi dimostrativi siamo in grado di creare empatia tra architetto, designer, cliente finale e il nostro agente, trasferendo informazioni. Un esempio sono i piani cottura con la cappa centrale: abbiamo avuto un incremento di vendite, anche grazie al fatto che di un prodotto come questo ti innamori se lo vedi, mentre è più difficoltoso raccontarlo da catalogo, o spiegarlo da spento. Se invece posso mostrare il funzionamento, la comunicazione è immediata e a quel punto anche il prezzo viene percepito con le giuste motivazioni. Il consumatore oggi è propenso a spendere – non a regalare – ma vuole ben capire. Se lei oggi entra in un negozio di cucine, vede venti allestimenti con gli stessi elettrodomestici, perché per non far alzare il costo della composizione, c’è ancora la mentalità di presentare negli showroom elettrodomestici base. Cosa sbagliatissima. Su questo fronte siamo impegnati da tanti anni: rendere gli showroom dei nostri clienti quanto più belli e performanti possibile. Quindi i miei uomini devono essere in grado di installare e spiegare ai clienti tutte le funzioni demo che oggi i prodotti hanno. Qui la grande distribuzione insegna: avere esposto un prodotto funzionante, anche in modalità demo, è più bello, rende più vivo lo showroom. E ispira anche l’idea di un punto vendita specializzato. Dei nostri 2500 clienti siamo un po’ gestori e custodi, perché sono il nostro patrimonio”.
“Mediamente siamo impegnati ogni lunedì, giorno di chiusura dei nostri clienti, nella sede di Casoria con aule da massimo 40-50 persone. Sono incontri dinamici, durano circa tre ore e spesso si degustano cibi preparati con gli apparecchi in presentazione. Lo showroom di Casoria serve Campania e Basilicata. In Abruzzo nella ristrutturazione abbiamo previsto di clonare lo stesso showroom di Casoria, e a Pesaro inaugureremo uno spazio con area dedicata, più piccola. Replichiamo lo stesso format, che abbiamo verificato essere vincente, in tutte le sedi dell’azienda”.
“Certamente, ed è fondamentale. Serve avere tre o quattro partner con i quali sviluppare queste attività, che richiedono un lavoro lungo e dispendioso per entrambi. Tutti hanno una tecnologia che vogliono presentare. Anche nei miscelatori oggi c’è questa esigenza, in gamma abbiamo prodotti da 18 a 1000 euro, imprenditorialmente c’è una bella differenza. Chiaramente il cliente che compra un miscelatore da 1000 euro, che è un impianto di depurazione, lo vuole per lo meno vedere in funzione. Così è per la macchina sottovuoto, l’abbattitore, il forno a vapore: bisogna far vedere e spiegare. E il mio uomo deve essere capace di illustrare quali possono essere i vantaggi e caratteristiche specifiche di questi apparecchi”.
“In pre-lockdown gli inviti venivano stabiliti con gli agenti. Oggi, invece, sperimentiamo eventi virtuali, dunque senza limitazioni di partecipazione, con KitchenAid. Da parte nostra stiamo pensando a dei webinar, a un canale YouTube, a diverse attività. Ho organizzato un piccolo team di giovani che mi supporta in queste attività. Rendere digitali gli incontri permette di allargare la platea e coinvolgere più clienti. Tenga presente, però, che siamo di estrazione meridionale e comunque la fisicità, la cordialità, la relazione con il cliente ci appartiene. E serve quando si fanno dei progetti di espansione, esiste sempre un latente razzismo commerciale, sono sempre un napoletano che arriva, ad esempio, in Romagna a vendere. Quindi ho interesse a farmi conoscere, incontrando di persona le aziende con cui lavoro. Oggi in Abruzzo, dopo cinque anni sono possessore del territorio, i miei clienti mi hanno conosciuto e hanno sperimentato la serietà della mia azienda. Dico sempre che noi dobbiamo essere più bravi degli altri anche per sconfiggere quel leggero pregiudizio sui napoletani, e lo dico senza polemica. Esiste una piccola diffidenza, comprensibile, nei confronti di chi viene da un’altra parte d’Italia e che non conosci, per di più questo è un mestiere che richiede storicità e tradizione. Per conoscersi e fidarsi non basta il digitale”.
“Bisogna avere il giusto mix, non può esistere solo un rapporto digitale. C’è un aspetto emotivo e se vuole passionale che si percepisce solo di persona. Lo diciamo nel nostro payoff ‘Specialisti per passione’. Il prodotto ha un’anima, non possiamo banalizzare questo aspetto, faremmo un torto a noi, al cliente e a chi lo produce”.
“È un tema su cui stiamo lavorando, e da anni abbiamo stabilito degli step societari. Fino al 2023 quella attuale sarà la compagine aziendale. Poi c’è un progetto, curato da legali e specialisti, per creare le giuste condizioni di avvicendamento. Abbiamo tutti dei figli, chi più e chi meno interessati alla società, stanno facendo un percorso che li renda abili ad entrare in azienda. Per il prossimo piano quinquennale 2023-2028 si vedrà. Pensi che 35 anni fa, quando è nata Cedi, scegliendo la forma giuridica di società per azioni, ci prendevano per pazzi. Ma noi abbiamo voluto dotarci di una struttura societaria che andasse oltre le nostre relazioni familiari. Siamo quattro fratelli in quattro posizioni strategiche. Dico sempre che siamo quattro manager che lavorano per un signor Cedi. Poi, spogliati gli abiti da dirigenti, ci sediamo intorno alla tavola, come fratelli che hanno una attività commerciale insieme”.
“Devo dire grazie a mia madre, Maria Cristina. Ci ha cresciuto con un’educazione familiare che ci fa vincere e smussare tante situazioni. Stare in società con i fratelli per 40 anni è roba da guinnes dei primati. Senza l’educazione avuta dai nostri genitori, che ci hanno inculcato il senso della famiglia, non sarebbe stato possibile un accordo così duraturo. Sa che motto abbiamo noi? La pace sociale ha un costo”. (l.c.)